Intelligenza artificiale nella PA: per l’80% dei dipendenti è un alleato, ma resta un 12% a rischio sostituzione
Intelligenza ArtificialePAPRIMO PIANOREPORTS 27 Giugno 2025 digitalvoice
L’intelligenza artificiale sta già trasformando la pubblica amministrazione italiana: oggi coinvolge direttamente il 57% dei circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici. Di questi, l’80% sperimenta una forma di complementarietà tra tecnologia e lavoro umano, mentre per un 12% si profila un concreto rischio di sostituzione. Un ulteriore 8% si colloca in una zona grigia, con implicazioni ancora incerte. È quanto emerge da un’analisi realizzata da Bigda, società specializzata in data analytics e ricerca di mercato basata su big data e IA, per FLP, il sindacato dei lavoratori pubblici.
L’indagine, presentata durante l’evento “Utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle PA: come cambiano l’organizzazione del lavoro, le forme e le modalità di rappresentanza” promosso da FLP, si basa sui dati FPA Data Insight e su un monitoraggio di oltre 20.000 menzioni online (social, forum, blog e testate) registrate nell’ultimo anno.
Il sentiment è positivo, ma resta l’ombra della privacy
Il sentiment generale dei cittadini rispetto all’introduzione dell’IA nella PA è prevalentemente positivo: il 45% delle menzioni esprime ottimismo, vedendo nella tecnologia uno strumento di semplificazione, supporto e modernizzazione. Solo il 20% dei commenti ha invece un tenore negativo, legato in particolare ai temi di privacy e sicurezza dei dati: l’IA viene percepita in questi casi come troppo invasiva e potenzialmente lesiva della riservatezza, con il rischio di un uso improprio delle informazioni personali.
L’impatto nei settori: istruzione e ricerca in testa, sanità in affanno
L’influenza dell’IA varia sensibilmente tra i diversi comparti della pubblica amministrazione. I tassi più alti di complementarietà tra lavoro umano e intelligenza artificiale si registrano nell’istruzione e ricerca (91,9%) e tra il personale soggetto a diritto pubblico (79,7%). Invece, nel settore sanitario, solo il 41,6% dei lavoratori vive un’effettiva sinergia con l’IA.
Il rischio di sostituzione, pur riguardando una minoranza (12% del totale), è più marcato nelle funzioni centrali (47,4%) e locali (23,8%), soprattutto nei ruoli a bassa specializzazione o con mansioni ripetitive.
Un equilibrio da costruire: tra innovazione e tutela del lavoro
Secondo Bigda, l’effetto prevalente dell’introduzione dell’IA nella PA è dunque quello della collaborazione tra uomo e macchina, ma la transizione richiede attenzione. Tra i circa 1,85 milioni di lavoratori già coinvolti dall’adozione dell’intelligenza artificiale, quasi 1,5 milioni possono trarne beneficio, mentre circa 218 mila rischiano di essere sostituiti. I restanti 154 mila si trovano in una posizione incerta, in cui l’evoluzione dell’IA potrebbe influire in modo ancora non prevedibile sulle modalità di lavoro.
Particolarmente delicata è la posizione di alcune professioni chiave come quelle del settore sanitario e diplomatico, dove il ricorso all’IA deve essere attentamente calibrato per garantire l’efficienza senza compromettere la qualità e l’umanità dei servizi.
Marco Carlomagno (FOTO) , segretario generale di FLP dice “Le mansioni più ripetitive della PA non sopravviveranno all’avvento dell’IA ma questo non è un male e non significa necessariamente che i dipendenti che svolgono questo tipo di mansioni perderanno il proprio posto di lavoro. C’è bisogno però di interventi urgenti di aggiornamento professionale (upskilling e reskilling) per prevenire l’obsolescenza delle competenze e garantire così continuità occupazionale. È necessaria una nuova formazione perché per una serie di mansioni che vanno scomparendo, ce ne sono altre che si vanno creando: penso ad esempio a quelle relative ai social media manager e ai digital media manager. Non dobbiamo andarli a cercare fuori dalla PA, ma dobbiamo trovarli dentro e formarli. È la formazione la chiave per non paralizzare la PA”.


















