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Dal Poz: considerare centrale il ruolo delle filiere
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Il Presidente Fedmec impegnato in un giro d’Italia dopo il nuovo contratto di lavoro nazionale rilascia una intervista a Digital Voice

Alberto Dal Poz è il Presidente che traghetterà Federmeccanica, ormai Fedmec, fino al 2021, un periodo cruciale per lo sviluppo dell’innovazione tecnologica dal diretto impatto sull’impresa manifatturiera, cuore produttivo del sistema Italia.

Il bando relativo ai competence center è ormai realtà; qual è l’auspicio di Fedmec in merito?

Noi auspichiamo sia di un impianto condiviso, cioè non calato dall’alto e coerente con le istanze degli imprenditori. In Germania esistono dei centri di trasferimento tecnologico, con decine di migliaia di dipendenti, che rappresentano la cinghia di trasmissione tra il mondo delle università e delle imprese. Il punto di debolezza vero del nostro sistema Paese è che il 90% è costituito dalle piccole e medie imprese, ma è sempre più difficile trovare un punto di contatto tra queste, il mondo della ricerca e il modo reale, quindi ben vengano i competence center ma sempre più in direzione dei centri di sistema tecnologici, meno dell’accademia. Il bando rappresenta di sicuro un’occasione per stabilire dei punti in cui si approfondiscono le nostre specializzazioni cui aggiungere la parte del settore ricerca, utile per essere trasferita nel mondo delle imprese ai fini dello sviluppo futuro. Il Piano Industria 4.0 è stato una benedizione, perché ha promosso una spinta innovativa per l’economia; basti pensare all’esplosione di ordinativi relativi alle macchine utensili, arrivato a più del 20%: ma chi le fa funzionare, poi, inserendole in sistemi produttivi, chi è che promuove l’aggiornamento a nuovi sistemi tecnologici? Ecco la seconda fase, quindi, quella della Manifattura 4.0, in cui bisogna trovare e organizzare le risorse adatte al momento dell’applicazione.

Il digitale rappresenta un volano per il settore manifatturiero italiano. In che modo si può innestare un nuovo approccio all’esistente?

 Considerando centrale il ruolo delle filiere come di motore di innovazione e stimolo primario sia per gli imprenditori, affinché investano, sia per i lavoratori, affinché approfondiscano le loro competenze. Bisogna riconoscere la specializzazione, poi all’interno di ciascuna filiera vi è lo stimolo delle imprese più grandi che arriva fino a quelle più piccole. Pensare ad uno sviluppo orizzontale è riduttivo, è necessario anche un input di altro tipo. Assistiamo a iniziative bancarie e finanziarie ad hoc per agire all’interno di una filiera riconosciuta, spazio in cui si muove anche il cliente che, per esempio, chiede l’introduzione del digitale. Siamo agli inizi, con esperimenti di questo tipo a Torino e aree della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna. Non c’è solo il settentrione tra le eccellenze, basti pensare alla diffusione dell’automotive anche in Puglia, Campania e Basilicata, all’aerospazio pure in Puglia e Campania, ai segnali da piattaforme logistiche nelle isole o in Calabria e, ancora, in Puglia. Parliamo di forte interconnessione tra tecnologie e territori grazie appunto alla filiera, alla specializzazione che conosce rapporti dettati dal mercato e non finanziamenti a fondo perduto, finiti i quali si sgretola tutto.

Quali i fronti su cui Fedmec si sta maggiormente attivando?

Alla fine del 2016 è stato siglato il nuovo contratto di lavoro nazionale con i tre sindacati maggiormente rappresentativi del settore, Fiom, Fim e Uilm. Questa firma è un punto di partenza, perché ora è il momento dell’applicazione del contratto a livello delle imprese. Stiamo dunque girando per l’Italia intera, da Nord a Sud, con l’obiettivo di raccontare le componenti più minute e gli aspetti più innovativi di questo contratto e non saremo soddisfatti fino a quando l’accordo si declinerà nelle varie realtà, soprattutto per quanto riguarda l’applicazione della trattativa aziendale. Il contratto, insomma, è la cornice presente, robusta ma sottile, e contiene indicazioni macro, ma tutto il dettaglio deve essere definito a livello aziendale, come per esempio l’aspetto dell’assistenza previdenziale integrativa e la formazione come diritto soggettivo dei lavoratori, equilibrato tra posizioni del mondo del lavoro e richieste dei lavoratori, entrambe legittime. La formazione deve riguardare tematiche che servono all’interno dell’azienda. Anche qui, infatti, perché dovrebbero essere calate dall’alto? Noi discutiamo per identificare i bisogni e dopo individuiamo gli strumenti più adeguati per soddisfarli, sempre al fianco degli imprenditori per non farli sentire soli nello strutturare al meglio l’accordo raggiunto. Si tratta di un passaggio, anche culturale, non da poco.

Cosa si augura la Federazione alla vigilia dell’appuntamento elettorale? 

 Mi auguro che l’industria manifatturiera metalmeccanica sia considerata una priorità nazionale e, chiunque vinca, un periodo di stabilità, perché abbiamo bisogno di politiche industriali e strumenti legislativi pensati per un periodo medio-lungo, che è quello in cui si muove l’economia. In particolare, chiediamo investimenti nelle infrastrutture, che non sono delocalizzabili e aiutano la logistica. Quasi il 52% dell’export italiano è rappresentato dalle aziende metalmeccaniche. Abbiamo quindi bisogno di un sempre più efficiente trasferimento di cose e persone, ma questo richiede le infrastrutture, e se non si attiverà tale circolo virtuoso rimarrà la debolezza presente di un cane che si morde la coda: non possiamo permettercelo, con due milioni di lavoratori impiegati direttamente e indirettamente.

 

Nella Foto Alberto Dal Poz Presidente Fedmec

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