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Coppola: competenze carenti nella dirigenza della PA
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Il Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni nell’intervista a Digital Voice denuncia le criticità del sistema e auspica l’istituzione di organismi ad hoc per la prossima legislatura

 

Quando si affronta il tema della digitalizzazione della pubblica amministrazione, gli argomenti toccati rischiano di diventare innumerevoli e i punti deboli sono svariati, ma la parola chiave rimane sempre una sola: competenza. Proprio la mancanza di questa, infatti, è la causa del ritardo italiano rispetto agli altri Paesi europei. A ribadire il concetto è Paolo Coppola, che nella legislatura appena passata è stato Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie e della comunicazione.

 

La Commissione è stata istituita con deliberazione della Camera dei deputati del 14 giugno 2016 e ha lavorato fino allo scioglimento delle Camere. Si tratta di un organo parlamentare che certifica ulteriormente il ruolo strategico del digitale. Crede che si sarebbe dovuta costituire prima, visto il nostro ritardo in questo ambito rispetto agli altri Paesi europei?

 

Certamente, tanto è vero che la mia proposta di istituirne una risale al febbraio 2015. In seguito al lavoro svolto e ai risultati emersi e contenuti in una corposa relazione finale, quest’organismo parlamentare ha rappresentato anche un impulso all’adempimento del CAD (codice dell’amministrazione digitale, ndr) nell’ambito della pubblica amministrazione, che lo ha prevalentemente disatteso. Questo perché il ruolo del digitale continua a essere largamente sottovalutato dalla classe politica che è il fedele specchio del suo elettorato, lontano dalla materia. C’è ancora tanto lavoro da fare, in questa direzione.

 

Quella della Commissione monocamerale è stata la prima esperienza paperless nella storia dell’amministrazione delle Camere, ma la pubblica amministrazione, esaminata in 67 audizioni con 127 invitati, non sembra altrettanto virtuosa. Quali le principali criticità riscontrate?


L’esperienza è stata digitale proprio per dare il buon esempio. La prima e più importante criticità in assoluto è la scarsa competenza in materia digitale nei ruoli apicali della pubblica amministrazione, dotata di tecnici ma carente di dirigenti illuminati in tale settore. Questo è grave, perché l’articolo 17 del codice dell’amministrazione digitale dice il contrario e il suo mancato rispetto fa sì che il confronto con gli interlocutori sia inadeguato, con la mancata verifica di quanto si compra e lo stallo della digitalizzazione dei processi. Poi ci sono gli errori classici del lock-in, cioè del legarsi a un certo tipo di fornitore limitando così il mercato e la concorrenza che favorisce invece l’evoluzione, e il meccanismo dei function point, pensato per dare oggettività al software ma applicato a come questo viene utilizzato, mettendo quindi in gara tutt’altra materia in una procedura ancora una volta ascrivibile alla scarsa competenza della dirigenza. Il codice dell’amministrazione digitale sembra una legge di serie B, mentre una digitalizzazione corretta ribilancia i poteri e garantisce la trasparenza dei processi, rendendoli impermeabili alla corruzione. Abbiamo ancora da fare in merito all’anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), con una soluzione non raggiunta, tempi sforati e un impegno di 23 milioni di euro dalla dissennata gestione centralizzata che ha portato a una progettazione sbagliata. Si farà e meglio grazie al team di Piacentini, perché i pareri AgID espressi al tempo non sono stati considerati, nonostante l’Agenzia per l’Italia Digitale sia un ente terzo dal ruolo autorevole. Nell’ultima modifica del codice dell’amministrazione digitale, entrata in vigore il mese scorso, è stata introdotta l’obbligatorietà di questi pareri, che perciò sono ormai vincolanti. Anche quando ci sono progetti di rilevanza nazionale, le pubbliche amministrazioni si muovono a macchia di leopardo, non si procede in modo strutturale e c’è un’alta inadempienza di servizi pure conosciuti, come quello del pagamento elettronico tramite pagoPA. Non c’è un piano delle performance con una programmazione, una misurazione degli obiettivi e i dirigenti hanno premi slegati dalla digitalizzazione.

 

Da dove ripartire nel nuovo Governo, visto il lavoro svolto e la mole di finalità da perseguire? Auspica un’analoga Commissione parlamentare di inchiesta?

 

Cio che auspico è una Commissione Permanente per la Digitalizzazione che svolga il ruolo di coordinamento normativo e impedisca che vengano introdotte leggi a detrimento del processo stesso di digitalizzazione. Sul versante parlamentare, la proposta della modifica al regolamento ha raccolto circa 300 firme all’inizio della legislatura, ma non c’è stato modo di discuterla.
Per quanto riguarda il Governo, invece, sicuramente il nuovo Esecutivo non dovrebbe bloccare i progetti di infrastrutture immateriali avviati come, per fare due esempi, l’identità digitale e l’anagrafe nazionale della popolazione residente. Dovrebbe inoltre riconoscere al settore digitale la sua importanza politica e dunque strategica con l’istituzione di un Ministero ad hoc o di un Sottosegretariato alla diretta dipendenza della Presidenza del Consiglio, visto il suo ruolo cruciale e trasversale che non può essere ingabbiato in qualche particolare ambito, perché è un modo di fare che permea tutto. Nel settore privato il digitale è stato già elevato a materia di board delle aziende; si segua questo esempio anche nel settore pubblico.

 

NELLA FOTO   Paolo Coppola, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni

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